Velocità, innovazione chirurgica e strumentale hanno oggi ridotto la mortalità cardiovascolare, prima causa di morte in Europa, Italia compresa, dove i decessi sono passati dai 260 mila annui degli anni ’80 agli attuali 220 mila. Merito della cardiologia interventista.
Agire rapidamente e chiamare subito il 118. Solo questo consente di accedere al ‘fast-track’ dell’infarto, un percorso salva-cuore dedicato per le emergenze che consente di evitare le tappe del pronto soccorso. Battere l’infarto sul tempo, prima cioè che possa causare un danno irreversibile al muscolo cardiaco, può infatti cambiare la storia della malattia: lo sanno almeno 33 mila pazienti infartuati italiani. Quelli che al primo segnale di probabile infarto, riconoscibile da un dolore toracico opprimente al centro del petto, irradiato al braccio sinistro e da una sudorazione fredda, sono stati avviati dal mezzo di soccorso del 118 (il numero salva-vita da chiamare immediatamente alla comparsa di sintomatologia sospetta) direttamente in uno dei 272 laboratori di emodinamica distribuiti tra le strutture cardiologiche sul territorio, di cui 188 attivi 24 ore su 24. Ovvero laboratori in grado di praticare in urgenza, in qualsiasi momento del giorno e della notte, un intervento di angioplastica coronarica , con il posizionamento di un palloncino o di uno stent, oggi garantiti a quasi 70% di pazienti infartuati (contro solo il 35% di pazienti nel 2008).
“La velocità è tutto – spiega Giuseppe Musumeci, Presidente del GISE (Società Italiana di Cardiologia Interventistica, www.gise.it) – e consente di salvare molte vite. Oggi l’angioplastica è diventata una pratica sicura, efficace, raffinata, sempre più mini-invasiva. La cardiologia interventistica in particolare, è capace di agire in tempi brevissimi – ovvero entro le 6 ore dalla comparsa della sintomatologia iniziale caratterizzata da dolore al centro del torace che si irradia al braccio sinistro e da sudorazione fredda”.
È stato così abbassato sensibilmente il tasso di moralità sia intraospedaliera, assestatasi intorno al 4% (contro il 25% degli anni ’70), sia per malattie cardiovascolari, sceso a 220 mila morti annue rispetto alle 260 mila degli anni ’80. Dati comunque elevati che confermano le patologie cardiovascolari come prima causa di morte in Europa, Italia compresa, interessando il 46% della popolazione totale.
“A maggior rischio – prosegue Musumeci – sono gli uomini dopo i 45 anni, specie se con familiarità per malattia cardiovascolare, ovvero con un parente di I o II grado con ictus, malattia coronarica o con infarto occorso prima dei 75 anni, portatori di altre patologie fra cui diabete, alti livelli di colesterolo, ipertensione, accaniti fumatori, amanti della dieta grassa e della vita sedentaria. Tutte caratteristiche che, con l’approssimarsi della stagione estiva, del caldo, del bel tempo e del desiderio di iniziare senza allenamento una anche piccola attività, possono sommarsi e diventare pericolosissime”.