2 Novembre 2016
di Redazione AZS
Discriminati e con pochi amici, perché ancora oggi il pregiudizio nei confronti dell’epilessia è grande. I bambini e gli adolescenti italiani che devono affrontare il cosiddetto ‘piccolo e grande male’ sopportano molte difficoltà a partire dalla terapia, che fila liscia solo in un caso su tre e spesso deve essere modificata per gestire meglio gli effetti collaterali, fino ad arrivare alla vita sociale, piena e appagante senza alcun ostacolo soltanto per uno su dieci. Lo dimostrano i dati di un’indagine dell’Osservatorio Nazionale sulla salute dell’infanzia e dell’adolescenza (Paidòss, paidoss.it) presentata in occasione del 3° Forum Internazionale della Società Italiana Medici Pediatri, a Stresa dal 27 al 29 ottobre, secondo cui il 53 % dei genitori di piccoli epilettici teme un futuro di solitudine per i propri figli e appena uno su sei non ha pensieri riguardo al futuro. L’indagine, condotta da Datanalysis intervistando 400 genitori di bambini e adolescenti malati di epilessia, è stata promossa da Paidòss per capire l’atteggiamento di mamme e papà nei confronti della malattia ma soprattutto per fare luce sulla vita di questi giovanissimi: in Italia ci sono circa 500 mila pazienti epilettici che crescono al ritmo di 32 mila nuove diagnosi l’anno, ma nel 60% dei casi la patologia si manifesta nell’infanzia.
“I dati raccolti confermano che in un caso su due la malattia è comparsa fra i 5 e i 14 anni, spesso con un episodio di convulsioni motorie improvviso e inatteso – spiega Giuseppe Mele, pediatra e presidente di Paidòss –. Si tratta di un’età difficile in cui affrontare una patologia che ancora troppi non conoscono e quindi temono: i pregiudizi sono tanti e i genitori li percepiscono nella vita quotidiana dei propri figli, a scuola e nello sport. Nel 57% dei casi l’integrazione scolastica è inadeguata per la mancanza di utili supporti e la percentuale sale al 63% al Sud e nelle isole: i bambini vengono ghettizzati e pochi, pochissimi hanno una vita sociale normale. Solo il 12% dei piccoli ha molti amici, è ben integrato e non è vittima di pregiudizi, ma tutto ciò può compromettere il benessere di questi pazienti per lungo tempo a venire: non sentirsi accettati dagli altri, passare le proprie giornate in solitudine e magari non praticare uno sport perché allenatori e compagni di squadra temono di non riuscire a gestire eventuali crisi sono tutti elementi che minano la serenità in un periodo della crescita fondamentale per costruire la propria autostima e i propri modelli di comportamento sociale. Per fortuna il 53% dei piccoli pazienti è riuscito a crearsi un gruppo di amici selezionati con i quali si sente bene, ma sono ancora troppi i bambini e gli adolescenti malati esclusi a torto da una normale vita sociale: con l’epilessia si può convivere, le terapie sono efficaci e basta sapere come intervenire in caso di crisi per non correre rischi”.
La terapia tuttavia scorre senza problemi solo per un piccolo paziente su tre: il 35% manifesta effetti collaterali e il 25% deve cambiare regime di cura per gestire al meglio i sintomi.
“I trattamenti funzionano – prosegue Mele – ma i genitori percepiscono la ‘pesantezza’ di terapie lunghe e complesse e soprattutto sono molto sensibili di fronte ai possibili effetti collaterali, che non sono frequentissimi ma certo possono avere un impatto sulla qualità di vita dei bambini. I genitori mettono tutto il loro impegno alla ricerca di una normalità che la malattia e la sua terapia possono rendere un obiettivo difficile, e in questa sfida ritengono il pediatra di famiglia il più vicino e presente alleato: nel 56% dei casi il pediatra è stato il primo a fare la diagnosi e ad attivarsi per le successive terapie, soltanto il 27% ha demandato tutta la gestione allo specialista. Il pediatra è anche la fonte principale per informarsi sulla malattia secondo il 45% dei genitori, che anche se frequentano i social network per scambiare esperienze con altre famiglie ritengono il loro pediatra un punto di riferimento essenziale a cui rivolgersi per sapere tutto ciò di cui hanno bisogno; solo uno su cinque fa affidamento soprattutto su internet per informarsi. Il pediatra può essere perciò il migliore alleato per la gestione della malattia, anche per alleviare le preoccupazioni per il futuro: anche se un genitore su tre nonostante le difficoltà spera in un cambiamento positivo con la crescita, l’84% è preoccupato perché pensa che per il proprio figlio ci sarà di fatto un futuro di solitudine, ostacoli e maggiori difficoltà per una reale integrazione. Un’alleanza stretta fra famiglia e medico può essere la chiave per superare paure e difficoltà, in una malattia che può essere gestita soprattutto se riusciremo finalmente a eliminare lo stigma che la contraddistingue nella società, facendo capire a tutti che questi bambini e ragazzi possono e devono avere una vita normale”.